The Missing Sodder Children

13.
George parlò con Ida Crutchfield, la donna sosteneva che chi accompagnava quelli che per lei erano i piccoli Sodder scomparsi, comunicavano tra di loro in italiano, lei stessa cercò di parlare con la bambina più piccola, ma subito i presunti genitori la allontanarono bruscamente dalla reception, pagarono il conto e se ne andarono senza aggiungere nulla, rimasero nel suo hotel solo una notte.
Ida si scusò per aver aspettato cinque anni per fare quella telefonata, ma non voleva mettersi contro qualche mafioso italiano, aveva solo quel piccolo hotel e non desiderava problemi, da quel giorno il rimorso non l’aveva abbandonata neanche per un giorno, tormentandola. Aveva capito che non avrebbe avuto pace se non avesse fatto la telefonata che avrebbe dovuto fare 5 anni prima.
George non sapeva cosa pensare, era passato troppo tempo e quelle informazioni non l’avrebbero portato a nulla, non sarebbero servite a ritrovare i suoi bambini. Ida semplicemente aveva deciso che era arrivato il momento di liberarsi del suo tormento passandolo a lui, oppure semplicemente era una donna annoiata, che aveva visto gli annunci della sua famiglia e a cui era venuta voglia di un po’ di visibilità o ancora più semplicemente una pazza visionaria.
Questo era il vero dolore, forte e insopportabile. Il dubbio che i suoi figli potessero essere là fuori da qualche parte, probabilmente bisognosi di aiuto o forse no e che lui non avrebbe potuto fare nulla per loro e avrebbe dovuto vivere il resto dei suoi giorni affrontando quella ossessione.
Tornò a casa, quando entrò cominciò a piangere, Jennie lo stava aspettando e alla vista delle sue lacrime, gli si avvicino, lo guardò negli occhi e senza toccarlo o abbracciarlo, gli sussurrò all’orecchio: « Non togliermi la speranza George, mi toglieresti la vita », si girò e senza aggiungere altro si mise di fronte ad una delle finestre del suo nuovo salone.
Guardava fuori, stava aspettando il ritorno dei suoi bambini, ne sarebbero tornati quattro quel giorno, Marion, John, Georg jr e Sylvia, il suo primogenito Joe si era già costruito una famiglia tutta sua, ma lei avrebbe continuato ad aspettare anche Maurice, Luise e le sue principessine, Martha, Jennie e Betty, affacciata a quella finestra dentro un vestito nero, per il resto della sua vita.

FINE

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Il Passo Dei Maledetti di Eva Gianella

CAPITOLO 25



- Eccoli i miei ragazzi! Matteo, Luca, Marco e Giovanni! Ben arrivati nella vostra casa, in quella che era fin da prima della vostra nascita, la vostra famiglia.
Matteo non osava guardare l’uomo che stava parlando, la sua voce gli metteva i brividi, più di qualsiasi uomo Bianco o uomo Nero, nonostante tutto quello che aveva sofferto fino a quel momento. Luca lo ascoltava incuriosito, mentre Marco lo guardava con ammirazione, come se lo conoscesse e solo stesse aspettando di conoscerlo. Giovanni si era ripreso completamente e stava cercando di alzarsi in piedi. Tutti e quattro erano nudi, i segni delle violenze commesse sui loro giovani corpi erano visibili, da alcune ferite usciva ancora sangue fresco, in altre era secco e gli ematomi coloravano tristemente buona parte della loro pelle.
- Mi hanno riferito che quasi tutto è andato per il verso giusto. Matteo, Luca, Marco avvicinatevi.
I tre bambini ancora nudi si stavano comprendo istintivamente i loro genitali con le mani, Matteo e Luca si guardarono tra loro, mentre Marco cominciò ad avvicinarsi a Pantokrator. L’uomo toccò la testa del ragazzino, che immediatamente abbassò il suo sguardo.
- Bravo Marco, venite ragazzi, non abbiate paura, io sono il Padre di tutti voi e sono il Figlio prediletto del nostro Dio. Non abbiate paura del Padre, perché anche lui è figlio come voi e Dio mi parla come io sto parlando a voi. VENITE DUNQUE!
Quell’ultimo grido scosse Luca e Matteo come elettricità e si mossero tremanti verso quell’uomo che non conoscevano e lui toccò i loro volti chini, la mano sulle loro teste era grande e calda, in quel momento i tremiti abbandonarono i loro corpi e senza nessuna spiegazione cominciarono a sentirsi tranquilli, il dolore delle ferite se n’era andato, percepivano solo pace.
- Non temete la mia mano, perché è forte e giusta.
Pantokrator si voltò verso gli uomini che avevano accompagnato i ragazzi.
- Lavateli, vestiteli e nutriteli, poi portateli nelle loro stanze. Hanno bisogno di riposare. Ci aspetta un lungo cammino davanti a noi.
Gli uomini dovettero trascinare i tre ragazzi fuori dalla stanza, ora sembravano non voler staccarsi più da quell’uomo senza identità.
Giovanni aveva osservato tutta la scena, fermo in un angolo della stanza, ancora debole, dovette appoggiarsi alla parete per mantenersi in equilibrio.
- Giovanni, ho riposto molta fiducia su di te e devo dire la verità fino a questo momento sono abbastanza deluso del tuo comportamento, dove pensavi di scappare? Non puoi scappare in nessun posto perché Dio è ovunque!
- E allora? Dio era ovunque anche prima che tu mi rapissi, razza di pervertito, non so cosa hai in mente ma
- ZITTO! Tu farai tutto quello che ti dico io! Se ho deciso di non mandarti ancora sul passo dei Maledetti è perché come stavo dicendo, ho riposto molta fiducia su di te e io non sbaglio MAI! Dunque Giovanni ora dimmi dov’è mia figlia?
- Tua Figlia? E che cavolo ne so io? Non sei tu che parli con Dio? Chiedilo a lui, sai una cosa? Lui è ovunque!
Pantokrator si avvicinò, accarezzò i capelli del ragazzo che si ritrasse, allora li afferrò bruscamente, tirandoli con forza, Giovanni provò un dolore straziante, i suoi occhi si riempirono di lacrime, ma con la bocca sorrise a Pantokrator sfidandolo. L’uomo lo lasciò.
- Bene Giovanni. Molto bene, non importa. Cristina probabilmente morirà di fame, dubito che la fuori, sola, sappia prendersi cura di se stessa.
- Cristina?
Il bambino non credeva alle sue orecchie, la fanciulla angelica che aveva conosciuto era figlia di quel demonio! Un demonio che però aveva ragione.
- Io posso trovarla, però a cambio voglio che mi prometta una cosa.
- Ah Giovanni sei l’unico dei tuoi fratelli che sembra non avere ancora capito chi sono io e la grande possibilità che vi ha offerto la vita. Tu non puoi minacciarmi né pretendere nulla da me, io decido cosa è giusto o sbagliato. Giusto è che tu viva con la tua nuova famiglia. Non posso lasciarti andare.
- Bene. Non sono stupido questo l’ho capito
“Almeno per il momento”, pensò il fanciullo.
- Non volevo chiederle la mia libertà. Volevo solo essere sicuro che Cristina facesse parte di questa mia nuova famiglia.
“solo così potrò proteggerla, sempre per ora, sarei cretino se pensassi il contrario”.
- Ti sei innamorato di lei? Interessante.
- Io posso trovarla!
- Giovanni vedi che siamo già d’accordo, tu non mi chiedi nulla che io non voglia darti, questo è giusto e buono. Ma non credere che non sappia che le tue intenzioni non sono pure. Io sono il Padre sulla Terra e qui non mi si può nascondere nulla. Il tuo cuore è giovane e niente è semplice, un cuore giovane deve essere forgiato e il tempo mi aiuterà, un passo verso la Famiglia era quello che volevo e tu lo stai dando. Ciò mi basta … per il momento.

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"Il Passo dei Maledetti" racconto a puntate di Eva Gianella. Capitolo 25

The Missing Sodder Children


12

Troppe cose erano rimaste senza una spiegazione e con il passare dei mesi l’investigazione officiale si andava raffreddando inesorabilmente. Il cortocircuito rimaneva l’unica ipotesi possibile, vero che parte delle luci della casa funzionavano ancora quando l’incendio divampò, le forze dell’ordine sostenevano che la corrente fosse saltata solo in una parte della casa. La scala che per tanti anni non era mai stata spostata dal giardino era stata ritrovata abbandonata in una strada, poco distante da casa Sodder, i cavi del telefono erano stati tagliati e al camion avevano rubato fino all’ultima goccia di carburante, questi tre ultimi fatti, potevano essere tranquillamente tutti collegati fra loro ed essere catalogati come bravate commesse da un gruppo di ragazzi annoiati, ma non per forza dovevano allacciarsi al cortocircuito, una coincidenza ed un evento fortuito che aveva provocato il fatidico incendio.
La polizia stessa, inoltre era stata informata da un assicuratore, il quale alcuni mesi prima della tragedia aveva visitato casa Sodder per cercare di contrattare un’assicurazione sulla casa, lui stesso aveva visto e avvertito il signor Sodder che alcuni fusibili della casa in malo stato avrebbero potuto scatenare un incendio, George non fece caso alle parole dell’uomo tanto che non volle assolutamente contrattare niente con quell’assicuratore.
La polizia indagò tutte le piste possibile senza arrivare a nulla di concreto e l’ipotesi dei Sodder sulla possibilità di un incendio doloso e di un rapimento dei cinque bambini, rimase solo il divagare speranzoso di una famiglia rotta dal dolore che non sapeva accettare la morte dei propri figli.
Il caso fu chiuso.
Le indagini della famiglia Sodder continuarono privatamente. Stamparono volantini con le foto dei cinque piccoli Sodder e dove una volta sorgeva la vecchia casa Sodder avevano costruito un muro dove venne affisso un cartellone con le stesse foto e offrendo una ricompensa di 10000 dollari in cambio di informazioni che avessero aiutato a trovare anche uno solo dei loro figli scomparsi.
Nel 1952, sei anni dopo il loro funerale, Ida Crutchfield, proprietaria di un hotel di Charleston chiamò la famiglia Sodder, aveva visto i loro figli accompagnati da due uomini e due donne proprio nel suo Hotel.
George prese la macchina e partì per Charleston.


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Capitolo 24
Da quando era uscita da casa, quella che fino a quel momento rappresentava tutto il suo mondo, il buio aveva prevalso su quella luce iniziale che gli mostrava la bellezza di quella natura che aveva visto nella sua testa, tra le pagine dei libri, nelle parole di Rachele, ciò che per lei rappresentava la libertà di cui era stata privata, fin dalla nascita, senza sapere perché.

Quei primi passi di felicità l’hanno guidata dritta dentro un incubo, dove l’oscurità copriva ogni cosa, ogni illusione con il passare delle ore si spegnava dentro il suo cuore e il terrore vinceva su qualsiasi altra emozione. Poi arrivò lui, Giovanni, la sua voce, il suo calore, il suo sguardo, esplosero dentro di lei scacciando più lontana quella paura che la stava vincendo e riprese a sentire, a sperare.

Ora era senza forze, aveva raggiunto la recinzione di cui le aveva parlato il ragazzino, si era accasciata sotto un albero, appoggiata al tronco, ancora una volta al buio, la notte circondava ogni cosa, ma quell’oscurità era diversa, la luna sopra di lei illuminava i suoi occhi e il suo cuore palpitava forte, non solo per l’enorme sforzo che aveva compiuto per correre fino al confine, era la magia di quel tenue chiarore, l’odore del tronco, il profumo dell’erba, l’aria fresca che le accarezzava il viso e la sicurezza che Giovanni stava correndo verso di lei. Chiuse gli occhi. Si addormentò mentre le sue labbra senza saperlo stavano sorridendo.

Giovanni non stava correndo.

Gli uomini Bianchi lo stavano trascinando da Pantokrator, Matteo, Marco e Luca camminavano davanti al gruppo, entrarono in una stanza, un uomo li stava aspettando, Giovanni ancora incosciente cominciò a biascicare più volte la stessa parola.

Cristina.

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"Il Passo dei Maledetti" racconto a puntate di Eva Gianella. Capitolo 24

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11.

George Jr raccontò ai genitori dello sconosciuto e delle sue parole, la rabbia e il dolore si alternavano dentro di lui, gli occhi dei suoi genitori mentre lui parlava confermavano che anche loro non avevano mai pensato che fosse potuto essere un incidente.

Quando sua madre si alzò per avvicinarsi alla finestra, tutti la fissarono, avevano paura che quelle rivelazioni potessero essere troppo dure per lei, ma quando lei cominciò a parlare, le sue parole lasciarono senza fiato tutti i presenti.

« I corpi, dove sono i corpi dei miei bambini? E non venite a dirmi che si sono inceneriti con le fiamme. Se i mobili della stanza non sono stati completamente inceneriti, com’è possibile che dei corpi umani sì. Io sono sua madre e quando sono entrata in quella maledetta stanza è nata in me una consapevolezza che non ho voluto ascoltare fino ad oggi. Mi sembrava di diventare matta. »

Jennie smise di guardare fuori dalla finestra, si girò verso la sua famiglia, stava piangendo.

« Ce li hanno portati via… I miei bambini non sono morti. »

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Il Passo Dei Maledetti di Eva Gianella

Capitolo 23
Pantokrator era seduto nel suo ufficio, stava guardando nervosamente fuori dalla finestra, in attesa di qualche notizia, quando Rachele bussò alla porta.

- Avanti

- Mi scusi signore se la disturbo, ma non riuscivo più a sopportare questo silenzio, nessuna novità?

- No Rachele.

- Ormai sta calando la notte. Povera Cristina, sarà spaventata a morte.

Rachele si toccò la gola, come per slegare quel nodo che quasi non la lasciava deglutire.

- Non preoccuparti Rachele, non le succederà niente di male, un po’ di paura non ha mai ucciso nessuno, credo che dopotutto a lei potrebbe servirle come insegnamento.

Il telefono squillò, Pantokrator sollevò il ricevitore.

- Sì?

Rachele cercò di ascoltare le parole dell’altro interlocutore ma non arrivarono alle sue orecchie.

- Ho capito. Portatelo qui! Anzi no. Portateli qui tutti e quattro.

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Il Passo Dei Maledetti
"Il Passo dei Maledetti" racconto a puntate di Eva Gianella. Capitolo 23

The Missing Sodder Children


10.

Il 30 Dicembre i 5 piccoli Sodder furono dichiarati morti, con l’emissione ufficiale del loro certificato e il 2 gennaio 1946 si celebrò il funerale, Jennie e George si chiusero nel loro dolore, rifiutandosi di accompagnare in quel loro ultimo viaggio, ciò che in realtà non c’era, visto che le bare erano vuote. John, George jr e Marion rappresentarono la loro famiglia durante le celebrazioni funebri.

La tragedia della famiglia Sodder aveva commosso l’opinione pubblica e al funerale si presentarono tutti gli abitanti della zona e altre persone che nonostante la distanza, vollero essere presenti al funerale di quei 5 piccoli angeli che le fiamme avevano divorato vivi.

I fratelli maggiori superstiti tornarono a casa stanchi di tante condoglianze e George Jr. non smetteva di stringere forte le mani, fino a quando uno sconosciuto gli si avvicinò e le sussurrò qualcosa all’orecchio, prima di dileguarsi nella folla.

« Ecco cosa succede ai comunisti! Mussolini non si tocca! Viva il Duce! »
George Jr. diventò pallido, Marion lo notò e si avvicinò al fratello.
« George cosa succede? Cosa voleva quell’uomo? »
« Io l’avevo detto Marion, non poteva essere stato un cortocircuito, le luci di natale funzionavano quando cominciò l’incendio, la telefonata strana che ricevette mamma, la scala scomparsa, il camion fuori uso, troppe coincidenze. »
« George cosa ti ha detto quell’uomo? »
« Che le coincidenze non esistono. »



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Il Passo Dei Maledetti Di Eva Gianella

Capitolo 22
Giovanni afferrò la mano di Cristina e la trascinò letteralmente sullo scivolo, non c’era tempo da perdere. Marco stava ancora gridando, forse li aveva fottuti per bene ma forse no e lui non sarebbe rimasto fermo rimpiangendo possibilità perdute.

Cristina continuava a scivolare, rendendo più lenta del previsto la sua risalita e quello che era peggio le sue già scarse possibilità di fuga. Non sapeva neppure lui cosa gli era preso, nell’esatto momento che le loro mani si toccarono, sentì una specie di scossa elettrica nel cuore, non immaginava come altro definire quella sensazione che gli stava inviando un messaggio chiaro e forte, quella mano non l’avrebbe lasciata per nulla al mondo.

- Dai Cristina ci siamo quasi!

La ragazzina spingeva con tutta la sua forza, non conosceva Giovanni eppure si fidava di lui, il braccio le faceva ancora male, ma non voleva pesare ancora di più sul suo compagno di fuga, stringeva i denti e cercava di non lasciare la presa anche se per qualche strana ragione sapeva che lui non l’avrebbe lasciata cadere.

- Ecco un ultimo sforzo.

Finalmente Giovanni arrivò ad afferrare con l’estremità libera del suo corpo l’inizio dello scivolo dal quale erano caduti e con un’ultima spinta, prima issò fuori Cristina e poi con un salto atletico si ritrovò fuori da quella dannata trappola e si videro per la prima volta.

Giovanni e Cristina, uno di fronte all’altra, sorrisero senza conoscere bene il perché, l’espressione del ragazzino cambiò rapidamente in una smorfia di preoccupazione e Cristina si spaventò. Giovanni le teneva ancora la mano, la strattonò vicino a lui e le sussurrò all’orecchio.

- Dietro di me c’è una porta. Devi fare assolutamente quello che ti dico io, senza voltarti indietro, senza farmi domande, devi correre capito, adesso ti lascio la mano e corri più veloce che puoi. Io ti ritroverò! Vai!

Giovanni le lasciò la mano e Cristina cominciò a correre, senza voltarsi indietro, senza fargli domande, non avrebbe tradito la fiducia del suo salvatore, trovò la porta, la aprì e continuò la sua marcia senza conoscere la sua destinazione, senza domandarselo, perché lui l’avrebbe trovata.

Giovanni la vide uscire, sorrise ancora, poi vide gli uomini Bianchi di Marco e gli si scaraventò contro con le sue ultime forze, gridando tutta la sua rabbia. Un calciò lo colpì al petto facendolo rimbalzare all’indietro, un dolore straziante gli bruciò dentro e un rigolo di sangue uscì dalla bocca.

Mentre era disteso per terra un altro calcio lo colpì alla schiena e questa volta le luci si spensero, ma solo per lui. Mentre stava perdendo i sensi martoriato dal dolore, riusciva a pensare solo a una cosa.

“Ti ritroverò Cristina. Io ti ritroverò!”

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Il Passo Dei Maledetti
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The Missing Sodder Children



9.
Nella stanza dei bambini non era stato ritrovato nessun corpo, nessun resto. Morrison trovò Jennie priva di sensi vicino ad uno dei lettini, subito dietro di lui arrivarono George e il resto della famiglia. Anche loro come la donna si guardarono intorno dapprima spaventati e poi smarriti.
Morrison cercò di sollevare Jennie, mentre dentro di sé inseguiva le parole più adatte per parlare a tutti i presenti.
« Signora mi sente? Signora? », la voce di Morrison era quasi un sussurro , ma quando Jennie cominciò a riaprire lentamente gli occhi, si schiarì la gola e cercò di rivolgersi a tutti i presenti con sicurezza e decisione, « non so cosa aspettavate di trovare qui, ma evidentemente la violenza delle fiamme ha raggiunto un grado così elevato da incenerire i corp », in quell’istante il capo dei vigili del fuoco si morse la lingua.
« Comunque adesso è meglio per tutti scendere non contaminare lo scenario della mort...», era troppo difficile mantenere una conversazione del genere, gli occhi della madre, rossi come il sangue erano puntati su di lui e non poteva sostenere quello sguardo.
« Dobbiamo lasciare la casa esattamente com’è ora, la scientifica verrà il prima possibile per esaminare quanto è accaduto, ma secondo un primo studio effettuato da noi, tutto sarebbe derivato da un corto circuito dell’impianto elettrico generale, che ha dato il via all’incendio. »
Mentre Morrison stava parlando John si avvicinò alla madre e aiutò a farla uscire dalla stanza.
Stavano già scendendo le scale.
Nessuno si accorse che George Jr rimase ancora dentro quella che era stata l’abitazione dei suoi fratelli, pensieri strani gli attanagliavano tutto il corpo, privandolo della forza del movimento.
“ Dove sono i corpi? Dove siete finiti ragazzi? Inceneriti dalla forza delle fiamme? Ma allora perché la maggior parte della stanza è praticamente distrutta ma comunque visibile? Cortocircuito? Qualcosa non va, non capisco cosa, ma so che non può essere stato un cortocircuito. ”
Finalmente si decise ad uscire in giardino con gli altri che si stavano stringendo attorno a Jennie, piangendo in silenzio, fu allora che George Jr, si voltò ancora un’ultima volta verso la casa e trovò quello che gli mancava per svincolare quel pensiero incastrato tra ricordi confusi di quella notte maledetta.
« LE LUCI DI NATALE! » Gridò.
Tutti i presenti si girarono verso di lui.

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CAPITOLO 21

- Ragazzi non so cosa ci stia succedendo, ma vi dico in serio che lì fuori è un delirio assoluto.
- Giovanni come sei arrivato fino a qui, sei già stato con gli uomini Bianchi?
- Marco te sei fuori di testa! Chi cazzo sono sti uomini bianchi? No, no sai cosa ti dico, lascia stare tanto te non sai che parlare di uomini Bianchi, uomini Neri, mentre te parli, io sono riuscito a scappare bello mio.
- Non ci credo. Scappare è impossibile.
- In parte no e in parte questa volta hai ragione, almeno per il momento. Sono riuscito a scappare da dove ci tenevano rinchiusi, sì insomma da dove ci siamo conosciuti, se così si può dire. Ho corso in linea retta senza fermarmi per non so quanto tempo, ma di chilometri ti assicuro che ne ho macinati parecchi e sai fin dove sono arrivato.
- No e non mi interessa.
- Che??? Allora con te non ce neppure da perdere il fiato. Sei fuori di testa esattamente come loro.
Giovanni rimase in silenzio, con le braccia incrociate e il viso imbronciato.
- Io, però, vorrei sapere fin dove sei arrivato.
Quella vocina dolce lo fece trasalire ma senza spaventarlo.
- Cavolo e te chi sei adesso?
- Io sono Cristina.
- Cristina mi immagino che tu sia nella nostra identica situazione, mi dispiace ma la verità è che sono arrivato fino al confine più estremo di questa proprietà e porca paletta ci sono delle recinzioni elettriche alte per lo meno 5 metri e ti assicuro che funzionano o tirato un sasso e le scintille lo hanno fatto volare come una nocciolina! Così ho fatto dietro-front, mi serve del tempo per riflettere e pensare al modo di uscire vivo da qui, ma mi stavano già cercando e così per nascondermi sono entrato qui dentro, dove ovviamente tanto per cambiare è tutto buio e devo essere caduto in una specie di buco, ma dolcemente, quindi significa che c’è uno scivolo.
- Hai detto “Questa proprietà”, cosa significa?
- Oh mamma mia non dirmi che sei un’altra tutta strana, tipo sto qui. Comunque Cristina adesso scusa ma dobbiamo concentrarci su come fare per disattivare l’elettricità di sto cavolo di manicomio a cielo aperto.
- Dio è con noi Giovanni, semplicemente devi mantenere la calma e accettare il tuo destino.
Marco parlò cercando di trasmettere la sua pace.
- Cristina lascia perdere sto fanatico e ascoltami bene
- Nessuno ti ascolterà, perché devi stare zitto, ti ho detto che non si può scappare da qui!
Marco cercò di afferrare il braccio di Giovanni, ma trovò solo il suo maglione, il ragazzino si divincolò dalla presa rapidamente.
- Non ti azzardare a toccarmi razza di depravato, vedrai come scappo da te e da tutti gli altri, non me ne frega niente che siano uomini neri, bianchi o rossi! Cristina se vuoi venire con me dammi la mano. Bisogna provarci. Ho visto quella che mi sembrava una piccola centrale elettrica non troppo lontano da qui.
Cristina allungò la mano e Giovanni la incontrò subito, era calda e morbida, quel tocco lo fece sentire strano.
Marco aveva percepito quel movimento vicino a lui, ed era come se stesse vedendo quella stretta di mano nascosta dall’oscurità e non gli piaceva per niente.
- Andiamo Cristina
I ragazzi cominciarono a risalire lo scivolo da cui erano caduti.
- AIUTO! AIUTO! SONO QUI! STANNO SCAPPANDO! STANNO SCAPPANDO! AIUTO!

Le grida di Marco esplosero nelle orecchie di Giovanni e Cristina. Come dinamite.

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Volano....Nulla è Ciò Che Sembra di Eva Gianella


Sabato 30 agosto 2014

La morte era arrivata, ancora una volta. Inaspettata, crudele, ingiusta, nessuno poteva prevedere una tale disgrazia, anche se i segnali c’erano stati. Quello che era mancato era la giusta chiave di lettura.
Ora era comunque troppo tardi per farsi qualsiasi domanda, non c’era più niente da fare, la vita aveva lasciato il suo corpo, non rimaneva più nulla di ciò che era e agli altri rimanevano solo le lacrime.


"Incipit" del mio nuovo libro in anteprima assoluta!!!!
Un piccolo regalo per tutti i miei sognatori!
Ci rivediamo il 10 gennaio!






Buon Natale e un anno nuovo che possa andare sempre "OLTRE"

Cari lettori di Racconti Oltre, anche quest'anno inevitabilmente è arrivato agli sgoccioli e visto che mi sembra di vedervi tutti presi con le vostre vacanze natalizie, occupati a scartare regali e a deliziarvi di ottimi pranzi e cene in compagnia delle persone a voi più care, anche il nostro e vostro blog si prende una pausa ma solo per quanto riguarda la pubblicazione, perchè continueremo a lavorare sulla nuova pagina raccontioltre.com, approfitto per ringraziare i miei fedeli collaboratori che apportano sempre nuove idee e linfa vitale a questo nuovo progetto e ovviamente il ringraziamento più grande va a voi che avete reso possibile e continuate a rendere reale questo nostro piccolo "oltre", con il vostro entusiasmo e il vostro affetto, il raggiungimento delle 10000 visite si sta avvicinando a ritmi inaspettati. Chiudendo questo post che non vuole diventare il discorso di fine anno del presidente della Repubblica, tutto il team di Racconti Oltre ha pensato di farvi un piccolo regalo.
L'Incipit del mio prossimo libro. "Volano. Nulla è ciò che sembra."
Appuntamento quindi a martedì 10 Gennaio con un nuovo capitolo del Passo dei Maledetti.
Buone feste a tutti i nostri sognatori, che i vostri sogni diventino realtà in una delle tante possibili, visibili e non e che i vostri incubi servano solo per spaventare e rendere più emozionanti e incredibili le vostre fantasie.
Vi lascio con l'Incipit.
A presto!

Il Passo Dei Maledetti Di Eva Gianella

CAPITOLO 20

Cristina esausta questa volta si addormentò veramente, persa in quell’oscurità e in quel silenzio, la svegliò il rumore della botola che si stava aprendo sopra di lei. In quel momento pensò che ormai per lei era arrivata la fine, sarebbe morta dimenticata in un buio infinito oppure chi aveva preso il bambino con cui aveva diviso quello spazio, avrebbe preso anche lei e l’avrebbero uccisa, perché quel bambino era così terrorizzato che sicuramente era già morto. Quei pensieri stranamente non la spaventarono, erano passate così tante ore, forse giorni, non sapeva più nulla, il dolore al braccio continuava a tormentarla, desiderava solo che finisse tutto, tornare indietro non le sembrava più possibile. La luce sopra di lei scomparve, un fruscio, un tonfo e un lamento. Possibile fosse il ragazzino di prima, possibile fosse ancora vivo? Cosa stava succedendo in quell’edificio? Chi erano quelle persone?
L’altra presenza cominciò a muoversi.
- Il Signore è con me, il Signore è con me. Marco non devi aver paura, il signore è con me. Lui è la mia forza!
Non sembrava la voce di prima, questa voce era forte, decisa, doveva essere un altro bambino, ma anche lui era un fanatico religioso? Marco la toccò e lei si ritrasse emettendo un gridolino involontario.
- Luca sei tu?
Cristina non sapeva cosa fare.
- Luca non avere paura.
La voce del ragazzino non era una voce cattiva e lei non sarebbe potuta scappare da quella stanza.
- Non sono Luca. Mi chiamo Cristina.
- Cristina?
- Sì e tu chi sei?
- Io sono Marco...credo. Ma tu cosa ci fai qui? Sei stata anche tu con gli uomini Bianchi?
- No, io mi sono persa. Stavo scappando di casa, sono entrata in questo edificio per riposarmi e sono caduta in un buco. Nessuno sa che sono qui e ho molta paura.
- Non devi aver paura. Io sono stato con gli uomini Bianchi, mi hanno fatto molto male ma alla fine ho capito che l’unica cosa che volevano insegnarmi è che non dovevo aver paura né di loro né di niente, l’unica cosa che possono farti gli altri e farti provare dolore, ma Dio è con noi
- Non capisco, scusa perché ti hanno fatto del male? Perché devi soffrire per capire che Dio è vicino a te. Quello che dici non ha senso.
Marco rimase in silenzio.
- Marco?
Il ragazzino non rispose.
- Marco ti sei offeso?
Un rumore sopra le loro teste, uno spiraglio di luce. Voci in lontananza. Un rumore vicino a loro, come di qualcuno che avesse saltato dall’alto e fatto schioccare le suole delle scarpe sul pavimento.
- Cazzo! C’è mancato poco!
- Giovanni?
- Marco?

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"Il Passo dei Maledetti" racconto a puntate di Eva Gianella. Capitolo 20

The Missing Sodder Children


8
Morrison tornò dai Sodder con lo sguardo addolorato, si avvicinò a George scuotendo la testa, senza riuscire a guardarlo negli occhi, si fermò davanti a lui: «Mi dispiace». George si girò verso Jennie, lei non aveva visto arrivare Morrison, era occupata a dondolare Sylvia tra le sue braccia, che finalmente sembrava essersi tranquillizata, intorno a lei John, George Jr e Marion si stavano tenendo per mando, cercando di darsi forza a vicenda.
«Se vuole parlo io con sua moglie», Morrison disse quelle parole più per compassione che per convinzione e non appena le pronunciò si accorse vigliaccamente che non ce l’avrebbe fatta a soppertare il dolore di quella donna. George senza rispondere al capo dei vigili del fuoco, probabilmente senza neppure aver sentito quelle ultime parole, si allontanò da lui per avvicinarsi a Jennie, la donna quando vide gli occhi del marito si rese conto di quello che il suo cuore aveva coveto per tutto quel tempo, la consapevolezza di aver perduto la sua vita, i suoi bambini erano morti bruciati vivi, quel pensiero esplose dentro la sua testa, vedeva il viso delle sue principesse Jennie e Betty… la piccola dolce Betty. Vide Martha mentre cercava di proteggere le sue sorelline e vide i suoi due omini, i suoi sbadati e inseparabili dormiglioni, Maurice e Louis svegliarsi di soprassalto quando ormai era troppo tardi, li vide tutte e cinque mentre le fiamme senza pietà stavano divorando i loro corpi. Sentì le loro grida, guardò le loro lacrime cadere. Rivisse ogni drammatico secondo nella sua testa, perchè li aveva abbandonati al loro destino, lei avrebbe dovuto asciugare quelle lacrime, placare quelle grida e ora i suoi piccoli non c’erano più. Se n’erano andati per sempre.
Stava impazzendo, doveva vederli un’ultima volta, non le importava la condizione dei loro corpi, doveva farlo. Quando George fu abbastanza vicino, gli allungò Sylvia e mentre lui era occupata a stringerla tra le sue braccia, Jennie en approfittò per correre dentro la casa.
«Mamma!», John fu il primo ad accorgersi di quello che stava succedendo.
«Jennie! NO!», la voce di George, spaventò Sylvia che ricominciò a gridare di terrore.
Jennie schivò i pompieri che sorpresi cercarono di fermarla, camminò velocemente sulle scale ed entrò nella soffitta. Era tutto semibruciato. Si guardò intorno perplessa, si avvicinò a ciò che rimaneva dei letti, li passò uno a uno e quando arrivò all’ultimo, le gambe le cedettero, svenne.
Non è possibile, non è possibile, non è possibile, non è possibile, non è possibile...”, il suo ultimo pensiero prima di perdere i sensi.
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Il Passo Dei Malledetti di Eva Gianella

CAPITOLO 19

Era scesa la notte.
La piccola Cristina non era ancora stata trovata. Rachele era rimasta tutto il giorno nel salone senza muoversi, sarebbe potuta rientrare nella sua stanza, ma aveva paura, sapeva che tutta la colpa sarebbe caduta su di lei. Voleva bene a Cristina, l’aveva cresciuta lei, ma ancora di più amava la sua vita e sapeva che se fosse successo qualcosa a Cristina, sarebbero morte diverse persone, tra cui lei. Il signor Pantokrator non credeva nel perdono, c’erano altre dimensioni dopo la morte e se il pentimento era puro solo lì si sarebbe ricevuto il perdono, ma la terra non era posto per impartire un tale privilegio. Cose del genere, come il perdono, la misericordia, la pietà, la comprensione, la compassione stavano portando il genere umano ad una degenerazione dalla quale sarebbe stato difficile tornare indietro, dalla quale dopo la morte in nessuna misura si sarebbe potuto raggiungere un livello di pentimento così profondo da poter cancellare tale decadenza.
Il perdono terrenale così effimero e fugace stava distruggendo qualsiasi possibilità di ricevere il perdono eterno. Cosa rappresentavano dolore e sofferenza lì, in quel dove e in quel quando, rispetto alla tortura eterna dell’oblio delle nostre anime?
Lei stessa aveva sempre creduto e sostenuto con tutto il suo spirito gli insegnamenti del signor Pantokrator. Infondo cos’era lei prima di conoscere quell’uomo che l’ha raccolta dalla strada, che le ha dato una casa e un’istruzione, non era nulla, solo una ragazzina obbligata a prostituirsi dai suoi genitori.
Lo aveva deluso. Aveva sbagliato. Non voleva morire. Aveva sentito parlare molte volte del passo dei Maledetti, se avesse ricevuto la maledizione del suo Signore, sarebbe finita laggiù, lo sapeva.
Cristina, mia piccola bambina… cos’hai fatto?”, pensò Rachele mentre la casa intorno rimase ostinatamente in silenzio.
Pantokrator entrò nel salone e lei prontamente le si prostrò in ginocchio.
- Alzati Rachele.
Lei si alzò.
- Non piangere Rachele.
Lei si asciugò le lacrime.
- Signore, io …
- Non parlare Rachele.
Lei smise di parlare e rimase immobile di fronte a lui, senza guardarlo negli occhi.
- Non avere paura Rachele, Cristina non può essere andata lontano, nessuno può uscire dalle mie Terre senza il mio permesso. La troveranno. Avrebbero già dovuto trovarla, questo è vero, ma l’inettitudine delle persone che mi circondano sembra essere senza fine. Prega dunque perché l’uomo a cui è stato donato l’ingegno, lo possa usare liberandosi da tutte le idee peccaminose che vivono nella sua testa annebbiandone i sensi. Offri il tuo dolore e le tue preghiere saranno ascoltate. Pantokrator le toccò la testa con la mano e lei rabbrividì leggermente.
- Ora vai. VAI Rachele! Non dimenticare il volto di Dio.
Dio non aveva volto, perché Dio era tutto, Pantokrator glielo aveva insegnato, per questo non dimenticare il suo volto significava non dimenticare la sua potenza e la sua infinitezza, perché Tutto dipende da Lui e dalla sua Volontà, su quella Terra loro erano solo di passaggio, per comprendere, per redimersi, per prepararsi ad attraversare quel varco che li avrebbe resi un tutto con l’infinito e l’unica cosa che avrebbero potuto donare all’Altissimo da lì era il sentimento più puro e forte che possedevano.
L’amore? No l’amore porta solo alla perdizione, annebbia la ragione, ci porta a compiere gesti quasi sempre insensati e controproducenti, ma soprattutto ci fa dimenticare il volto di Dio che viene stupidamente sostituito dalle persone che pensiamo di amare.
L’unica passione che possiamo offrire come uomini, senza dimenticare il suo volto, bensì rafforzando il suo spirito dentro di noi, è il Dolore.
Rachele chiuse la porta della sua stanza, si tolse la maglietta e il reggiseno, aprì il primo cassetto del comò, ne estrasse un nerbo, si inginocchiò e cominciò a fustigarsi.
- Sia fatta la tua volontà!

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Il Passo Dei Maledetti
"Il Passo dei Maledetti" racconto a puntate di Eva Gianella. Capitolo 19

The Missing Sodder Children


7

Le sirene dei pompieri irruppero in tutto il quartiere svegliando e attirando la curiosità anche dei vicini più lontani.

Quando i vigili del fuoco finalmente arrivarono a casa Sodder, della casa ormai rimaneva ben poco. I Sodder superstiti aspettavano nel giardino, piangendo e urlando.

Gli idranti cominciarono il loro lavoro ma le fiamme non cedettero, la lotta si prolungò a lungo. George stava cercando di alzare la moglie inutilmente.

Finalmente alle prime luci dell’alba i pompieri vinsero quella estenuante battaglia, i vicini dei Sodder attirati dalle sirene, tornarono sommessamente alle loro case, scambiando qualche commento tra loro e contenti di non essere i protagonisti di quella disgrazia, di non essere George o Jennie.

I vigili del fuoco si preparano ad entrare nella casa, erano stati informati sin dall’inizio della presenza dei cinque bambini che non erano riusciti a scappare e da subito, non appena videro la situazione della casa in fiamme seppero che i 5 bambini dovevano già essere morti.

Jennie si alzò improvvisamente e cominciò a correre verso di loro, che la fermarono prontamente.

« Lasciatemi entrare, devo entrare, devo vederli … I miei bambini … I miei bambini …»

« Signora per favore è il nostro lavoro, la casa in questo momento è in condizioni precarie.»

Il capo dei pompieri continuava a trattenere Jennie che stava spingendo sempre più forte per varcare la porta e correre in soffitta, allora l’uomo alzò lo sguardo in cerca di George, chiedendogli silenziosamente aiuto in quella situazione, ma George sotto lo sguardo del vigile cadde in ginocchio e con lo sguardo fisso su quel che rimaneva della casa cominciò a singhiozzare, allora Johh che fino a quel momento era stato vicino ai fratelli per cercare di tranquillizzarli, lasciò la mano di Marion e corse verso la madre.

« Mamma per favore, vieni, vieni con me, guarda Sylvia ha bisogno di te, ci abbiamo provato ma nessuno di noi riesce a calmarla.»

« Sylvia … -, si voltò verso la sua piccola che George Jr teneva dolcemente in braccio, mentre lei continuava a piangere senza pace.»

« I miei bambini … -, questa volta si voltò verso la casa, ma prontamente John la tirò a sé e lei si lasciò cadere fra le sue braccia.»

Morris, il capo dei pompieri, adesso libero, guardò i suoi colleghi ed entrò.

« Andiamo, seguitemi.»

Come prima cosa controllarono lo stato della scala che sembrava potesse reggere il peso di una sola persona, così Morris prese l’iniziativa e si diresse prontamente verso la camere dei cinque bambini, quando varcò la soglia trattenne involontariamente il respiro, si era preparato per vedere il corpo carbonizzato di 5 piccoli cadaveri. Quando riprese fiato non credeva ai suoi occhi, nei cinque letti non c’era nessun cadavere, si tolse il casco di protezione e si avvicinò ai lettini, solo polvere, polvere che ricopriva ogni centimetro della stanza.

Forse …

Morris scese le scale, non c’era altro da vedere.

Sicuramente. Non c’era altra spiegazione.

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