Il Passo Dei Malledetti di Eva Gianella

CAPITOLO 19

Era scesa la notte.
La piccola Cristina non era ancora stata trovata. Rachele era rimasta tutto il giorno nel salone senza muoversi, sarebbe potuta rientrare nella sua stanza, ma aveva paura, sapeva che tutta la colpa sarebbe caduta su di lei. Voleva bene a Cristina, l’aveva cresciuta lei, ma ancora di più amava la sua vita e sapeva che se fosse successo qualcosa a Cristina, sarebbero morte diverse persone, tra cui lei. Il signor Pantokrator non credeva nel perdono, c’erano altre dimensioni dopo la morte e se il pentimento era puro solo lì si sarebbe ricevuto il perdono, ma la terra non era posto per impartire un tale privilegio. Cose del genere, come il perdono, la misericordia, la pietà, la comprensione, la compassione stavano portando il genere umano ad una degenerazione dalla quale sarebbe stato difficile tornare indietro, dalla quale dopo la morte in nessuna misura si sarebbe potuto raggiungere un livello di pentimento così profondo da poter cancellare tale decadenza.
Il perdono terrenale così effimero e fugace stava distruggendo qualsiasi possibilità di ricevere il perdono eterno. Cosa rappresentavano dolore e sofferenza lì, in quel dove e in quel quando, rispetto alla tortura eterna dell’oblio delle nostre anime?
Lei stessa aveva sempre creduto e sostenuto con tutto il suo spirito gli insegnamenti del signor Pantokrator. Infondo cos’era lei prima di conoscere quell’uomo che l’ha raccolta dalla strada, che le ha dato una casa e un’istruzione, non era nulla, solo una ragazzina obbligata a prostituirsi dai suoi genitori.
Lo aveva deluso. Aveva sbagliato. Non voleva morire. Aveva sentito parlare molte volte del passo dei Maledetti, se avesse ricevuto la maledizione del suo Signore, sarebbe finita laggiù, lo sapeva.
Cristina, mia piccola bambina… cos’hai fatto?”, pensò Rachele mentre la casa intorno rimase ostinatamente in silenzio.
Pantokrator entrò nel salone e lei prontamente le si prostrò in ginocchio.
- Alzati Rachele.
Lei si alzò.
- Non piangere Rachele.
Lei si asciugò le lacrime.
- Signore, io …
- Non parlare Rachele.
Lei smise di parlare e rimase immobile di fronte a lui, senza guardarlo negli occhi.
- Non avere paura Rachele, Cristina non può essere andata lontano, nessuno può uscire dalle mie Terre senza il mio permesso. La troveranno. Avrebbero già dovuto trovarla, questo è vero, ma l’inettitudine delle persone che mi circondano sembra essere senza fine. Prega dunque perché l’uomo a cui è stato donato l’ingegno, lo possa usare liberandosi da tutte le idee peccaminose che vivono nella sua testa annebbiandone i sensi. Offri il tuo dolore e le tue preghiere saranno ascoltate. Pantokrator le toccò la testa con la mano e lei rabbrividì leggermente.
- Ora vai. VAI Rachele! Non dimenticare il volto di Dio.
Dio non aveva volto, perché Dio era tutto, Pantokrator glielo aveva insegnato, per questo non dimenticare il suo volto significava non dimenticare la sua potenza e la sua infinitezza, perché Tutto dipende da Lui e dalla sua Volontà, su quella Terra loro erano solo di passaggio, per comprendere, per redimersi, per prepararsi ad attraversare quel varco che li avrebbe resi un tutto con l’infinito e l’unica cosa che avrebbero potuto donare all’Altissimo da lì era il sentimento più puro e forte che possedevano.
L’amore? No l’amore porta solo alla perdizione, annebbia la ragione, ci porta a compiere gesti quasi sempre insensati e controproducenti, ma soprattutto ci fa dimenticare il volto di Dio che viene stupidamente sostituito dalle persone che pensiamo di amare.
L’unica passione che possiamo offrire come uomini, senza dimenticare il suo volto, bensì rafforzando il suo spirito dentro di noi, è il Dolore.
Rachele chiuse la porta della sua stanza, si tolse la maglietta e il reggiseno, aprì il primo cassetto del comò, ne estrasse un nerbo, si inginocchiò e cominciò a fustigarsi.
- Sia fatta la tua volontà!

Continua...

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