La morte del disincanto di Salvatore Ferraro



La generazione x

Sergente, siamo morti! Ragazzo, tu sei morto quando lo dico io!
( Cit. I quattro dell'Oca selvaggia di Andrew V. McLaglen )

Ogni decennio passato ha sempre qualcosa da raccontare o che inevitabilmente torna prepotentemente attuale (spesso per ragioni commerciali) nel nostro grigio quotidiano. Gli avvenimenti chiave e sopratutto le mode, che subiscono quest’opera di restyling, vengono servite sulla tavola mediatica del presente, con portate dal gusto logoro e déjà-vu. Un decennio torna di moda con i suoi “trend” e “costumi”, caricati per il rispolvero da un sapore leggermente iconoclastico e privo dell’innocenza del suo tempo. L’opera di mescola attuata dalle nuove generazioni, sarà premiante fino al passaggio al successivo decennio da rispolverare. Spesso mi sono trovato a riflettere su quanto sia corta la memoria storica, le persone tendono a ricordare poco o nulla del passato, enfatizzando sciocchezze assurde e minimizzando passaggi complicati e traumatici della storia del mondo. Si riassume, per comodità, un decennio con maschere rappresentative di quel periodo, ma nel caso dei “novanta”, cioè degli anni novanta e della sua generazione, non è stato vero neanche questo. Non si può parlare di memoria storica riferendosi ad un’epoca vissuta da ragazzi definiti “generazione x”. Qualcuno mi spiega gentilmente cosa significa “generazione x”, abbiamo pareggiato? Come
si fa a ricordare una generazione denominata “x”? Nel calcio è un segno di equilibrio, di pareggio e molto spesso nel caso di “zero a zero” denota poco spettacolo per il pubblico pagante. Non credo che sia stato una decade memorabile, ma sono altrettanto sicuro che non sia stata peggiore di tante altre, o meglio, di tante altre generazioni. Suppongo che, alla fine, cambino gli attori e si attualizzi un pochino la sceneggiatura: pretesti diversi, lotta di classe, nemici giurati. Ho vissuto la mia adolescenza negli anni novanta e non mi va l’idea di essere bollato con una “x” sulla fronte, mi piacerebbe che la mia generazione in futuro fosse rivalutata. Un giorno sarò padre, nonno o qualcosa del genere e quando racconterò le mie storie, voglio riferirmi al periodo della mia pubertà con dignità ed icone di quegli anni e non prese a prestito da epoche precedenti che non ci appartengono. La cosa che più mi fa “incazzare” è che spesso i problemi devono derivare da mali classici, come: fame e povertà, guerre e carestie. Anche noi giovani paffutelli, viziati, agiati degli anni novanta e senza nemici reali da combattere, abbiamo avuto i nostri problemi; testimonianza di ciò la precarietà delle nostre menti. Io imputo molta della colpa alle aspettative fomentate nei nostri riguardi, forse siamo la prima generazione cresciuta con genitori di cultura superiore e questo non ha fatto che creare maggiori attese nei nostri confronti. Ricordo ancora mia madre che mi vestiva di tutto punto per andare a scuola e mi ripeteva sempre: Sei il più bello, sei il più bravo, diventerai un grande avvocato o un grande dottore, ma io volevo fare l’agente segreto. Quando ho scoperto di non essere il più bello, di non essere il più bravo, me ne sono fregato, tanto non volevo essere né avvocato, né dottore o magistrato…io volevo uccidere gli alieni. Per molti miei amici non è stato così idilliaco scoprire che non li attendeva un ruolo di spicco in questa società, allora giù con squilibri d’identità, crisi depressive e nella migliore delle ipotesi identificazione con falsi miti, recuperati da qualche generazione passata, portati in bella mostra su maglie, borse e bandiere. Io intanto continuavo a pensare ed a dire “ Che se ne fotte Che Guevara, se la palestra della ragioneria è inagibile ”.

La morte del disincanto di Salvatore Ferraro, Sacco editore, 2010, 124 pp.

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