La Pagina n.84 di Enrico Caruso


Una pioggia incessante e improvvisa dalle prime ore dell’alba fino a tarda mattina dà inizio alla storia di Emma, una ragazza di quindici anni, che si recava a scuola come tutte le mattine prendendo l’autobus numero centocinque. Quella mattina, Emma non volle essere accompagnata da sua madre Paola. Decise di uscire da casa, con la pioggia che batteva sempre più forte sul suo ombrello fino quasi a distruggerlo e correre come una preda mentre scappa dal suo predatore per bagnarsi il meno possibile, ma non poté non arrivare quasi completamente bagnata alla fermata dell’auto. Arrivato il numero che aspettava, tentennò a salire. Ma poi lo fece. Era indecisa se andare a scuola perché non aveva nessuna voglia di essere stressata dai professori con interrogazioni, spiegazioni e piccoli aneddoti di saggezza che l’avrebbero annoiata. Alla fine, davanti alla scuola non scese. Abbassò la testa nascosta sotto l’altezza del finestrino per evitare di farsi beccare da qualche compagno o peggio ancora da uno dei suoi prof. Decise di rimanere seduta e quasi immobile sulla poltrona che aveva accuratamente scelto e proseguì fino al capolinea a scatola chiusa, senza sapere cosa avrebbe fatto dopo. Nel frattempo che Emma si godeva il panorama grigio della città immersa nella pioggia, offuscata dalla sottile nebbiolina che rendeva quella mattina sempre più buia, dalla porta d’ingresso entrò Marco. Scolato da capo a piedi e con le stesse intenzioni di lei. Tutti lo guardarono sperando che non
tentasse di sedersi accanto a loro e così fu alla fine. Disinibito ragazzo di diciassette anni che, come lei, aveva pensato di non andare a scuola. Per pura casualità quei capelli biondi, quegli occhi verdi, quella pelle di un colore chiaro e quel fisico normale delineato dai lineamenti molto attraenti, si dirigeva verso il posto libero che c’era accanto ad Emma. Era intenzionato a sedersi proprio lì? In fondo non lo sapeva nemmeno lui. Lei con la sua finta indifferenza guardava da tutte le parti tranne che da quella. Per lei la corsia centrale del bus non esisteva in quell’istante, anche se, con la coda degli occhi lo aveva già scrutato e osservato attentamente in ogni suo minimo dettaglio, sin da quando le apparve dall’altra parte del finestrino, seduto sulla panchina della fermata. Appena lo avvistò là fuori avvertì un brivido che le circondò tutto il cuore quando se lo vide davanti, diventò rossa dalla testa fino alla parte inferiore più nascosta del suo corpo. Era troppo impacciata in quel momento e non sapendo cosa fare e dire, aprì bocca solo dopo che lo fece per primo Marco. A un tratto lui ruppe la tranquillità e il silenzio confondendo la sua voce con il rumore assordante che aveva dimora fissa sull’autobus.


«Ciao, è libero? Il posto!» sottolineando, con tono malizioso “il posto”. Lei nel suo rossore rimase imbambolata per alcuni istanti, come se non avesse capito che qualcuno le stesse rivolgendo la parola. Nel contempo lo guardava fisso negli occhi e lui non sapeva come reagire al suo silenzio incompreso. Dopo alcuni minuti che per lei sembrarono un’eternità rispose.

«Sì. Puoi sederti» con tono indifferente e quasi scocciato, proprio come se volesse mettere in chiaro che a lei non interessava minimamente se lui si sedeva accanto a lei o meno. In fondo era proprio quello che voleva. Averlo seduto accanto e poter sentire il suo profumo. Fantasticare con la sua mente e pensare che quell’evento potesse dare una ventata di positività nella sua giornata incupita dal brutto tempo. Dopo diversi minuti trascorsi tra sguardi nascosti, sorrisi, indifferenza, lui volle dare un taglio a quella conversazione silenziosa e gli chiese il suo nome.

«Scusa dato che siamo uno seduto accanto all’altro, senza fare niente, anziché annoiarci perché non incominciamo a presentarci?... Per esempio potremmo iniziare col dirci i nostri nomi...».

«A te cosa importa? Sarà una delle classiche domande che fai per farti bello e pensi che ti riesca sempre, ma con me caschi male caro...» rispose irritata.

Marco dopo la sua risposta era ancora più incuriosito. Cercò di spiegare a Emma che non era il classico tipo che cercava di rimorchiare la prima che incontrava per strada, ma desiderava soltanto avere il piacere di scambiare quattro chiacchiere durante il tragitto, per non annoiarsi o per giunta addormentarsi, vista la pioggia. aver chiarito le sue intenzioni, anche se aveva capito di non aver tolto tutti i dubbi a nessuno, Marco si presentò. Ritentò, richiedendo per la seconda volta il nome ma all’improvviso bloccò Emma facendola rimanere con la bocca socchiusa nel procinto di pronunciarlo e le propose di fare un gioco tanto per la serie “facciamo passare il tempo”. Sbalordita da quanta vivacità e positività aveva in corpo quel ragazzo, si fece coinvolgere e annuì positivamente alla proposta. Alla fine non aveva proposto nulla di male o che potesse fare pensare a qualcosa di strano ma in fondo alla sua mente aveva capito che, in un modo o in un altro, quella era una strategia per fare colpo su di lei. Una tattica diversa ma pur sempre con lo stesso fine. Ma cosa che Marco non aveva bisogno di capirera che lui non aveva capito che lui non aveva bisogno di strategie da mettere in atto per sorprenderla, perché lei era stata ormai colpita dal classico “colpo di fulmine” che a quell’età è molto più intenso e molto più pericoloso che a un’altra. I giochetti sarebbero stati solamente una perdita di tempo, un protrarre ciò che entrambi volevano. Arrivato al punto, lui incominciò a spiegare le regole del gioco da lui inventato. Gioco che non era un gioco ma solamente un modo simpatico per fare una conoscenza. La scommessa consisteva nell’essere lui a indovinare il suo nome. Se c’è l’avesse fatta, lei, in cambio gli avrebbe dato un bacio sulla guancia. Marco non aveva alcun dubbio di vincere la scommessa, poiché, Emma ingenuamente e soprattutto ipnotizzata dal movimento delle sue labbra, dalla sua voce e dal suo sguardo, non fece minimamente caso al fatto che il suo zaino era in bella vista con in spaventosa evidenza il suo nome scritto a lettere cubitali. Lei acconsentì e lui cominciò a dire dei nomi a caso, sbagliando volontariamente e soprattutto facendole credere che sarebbe stato il “caso” a farglielo indovinare. Ma lui in quel momento aveva già progettato di modificarlo a suo piacimento e per un suo desiderio ma non sapeva cosa sarebbe accaduto da quel momento in poi.

«Francesca!». Fu il primo che gli venne in mente, diverso da quello che aveva letto.

«Sbagliato!» mormorò la ragazza sorridendo con amarezza.

«Maria Catena... Federica!» continuò.

Voleva che Marco indovinasse il suo nome, perché l’idea di dargli un bacio la eccitava molto. Sarebbe stato il suo primo bacio, anche se i patti erano un bacio sulla guancia, ma per lei era superfluo questo perché immaginava tutto tranne che un semplice bacio, come quelli, che dava tutti i giorni alle sue amiche. Già la sua mente vagava nei mille sogni a occhi aperti che faceva mentre guardava Marco. Immaginava su come fosse stato bello se le loro labbra si fossero incontrate in un breve ma intenso viaggio che sicuramente le avrebbe dato un brivido inaspettato ma di sicuro desiderato.

«Allora ancora non ci sono, ma secondo me ora ce la farò... Emma!» esclamò sorridendo. «Emma? Ma... ci sei?» aggiunse, agitando la mano dinanzi ai suoi occhi.

«Ah sì, che c’è?» rispose, chiedendo allo stesso tempo come caduta dalle nuvole.

«Come che c’è! Ho detto il nome Emma... ti dice qualcosa?».

«Emma? Ah sì bravo! Come hai fatto a indovinare?» mormorò sbalordita ancora immersa nella sua perplessità.

«Semplicissimo! Fortuna! Sto scherzando!» affermò Marco.

«Che vuoi dire?» chiese incuriosita.

«Ohi, scendi dalle nuvole e ritorna sulla terra... ho indovinato il tuo nome grazie al tuo aiuto.» commentò con voce da vincitore che aspettava il suo premio.

«Al mio aiuto?».

«Certo! Abbassa lo sguardo sul tuo zaino. Guarda bene e avrai la risposta... comunque hai perso... non importa come ho fatto... l’importante è aver centrato il bersaglio».

«Che stupida... Ok! Hai vinto, dopo che saremo scesi, avrai la tua ricompensa» affermò Emma. Altro che ricompensa per lui era lei, che forse ci sperava di più, infatti, mentre lui parlava, lei aveva solo un pensiero fisso: il bacio. Arrivati al capolinea, camminarono fino a raggiungre il parco che si trovava lì vicino. La pioggia aveva cessato il suo iter di colpire ripetutamente l’asfalto e i marciapiedi con la sua incessante insistenza. Le nuvole nere stavano pian piano sparendo, come per dare un segno di speranza. Seduti su una panchina, hanno iniziato a parlare del più e del meno. Raccontandosi particolari della loro vita che probabilmente non avevano fatto partecipe di essi nessuno. Marco le raccontò un po’ di lui. Aveva diciassette anni, studiava e sperava di fare l’ingegnere nell’avviatissimo studio del padre. Era contento di aver fatto colpo con la sua convinzione, spontaneità, semplicità e simpatia. Era convinto che la ragazza fosse stata completamente colpita da lui nell’insieme ma dall’altro canto anche lui non era stato risparmiato, anche se non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura. Ma l’evidenza è a dir poco difficile da nascondere. momento arrivò. L’attesa ricompensa che Marco aspetda molte ore non tardò ancora ad arrivare. Era molto emozionato ed eccitato. Aveva solo una paura. Non essere all’altezza. Per lei sarebbe stato il primo bacio, quindi, non avrebbe potuto fare il confronto e giudicare, ma questo lui non lo sapeva e il dubbio lo continuava a tormentare. Dall’alparte, Emma era già presa di caldo. Rossa in viso e sudata dall’emozionante occasione che quella mattina si era presendavanti. Non essere andata a scuola era stata la cosa più bella degli ultimi tempi. Il bacio era più una bella ricompensa per Emma che per Marco. Difatti, lei, già dal primo sguardo si era tuffata in un immenso mare di desideri. Il momento arrivò. L’attesa ricompensa che Marco aspettava da molte ore non tardò ancora ad arrivare. Era molto emozionato ed eccitato. Aveva solo una paura. Non essere all’altezza. Per lei sarebbe stato il primo bacio, quindi, non avrebbe potuto fare il confronto e giudicare, ma questo lui non lo sapeva e il dubbio lo continuava a tormentare. Dall’altra parte, Emma era già presa di caldo. Rossa in viso e sudata dall’emozionante occasione che quella mattina si era presentata davanti. Non essere andata a scuola era stata la cosa più bella degli ultimi tempi. Il bacio era più una bella ricompensa per Emma che per Marco. Difatti, lei, già dal primo sguardo si era tuffata in un immenso mare di desideri. Il momento arrivò. L’interminabile attesa s’interruppe. Anche stavolta la prima mossa la prese lui. Avvicinò lentamente, e timidamente cercò di sfiorarle la mano e avvicinarsi a sé. Erano faccia a faccia. Lei aveva gli occhi rossi dall’emozione e le guance infuocate e allo stesso tempo un’ondata di gelo le avvolse il corpo. Marco con le sue mani caldissime la accarezzava scaldandola procurandole delle fitte allo stomaco. Era troppa l’emozione. Dopo pochi istanti, Marco ed Emma si trovarono a pochi millimetri dal toccarsi le labbra. C’erano quasi ma sul procinto di baciarsi, un imprevisto sopraggiunse. Non si erano accorti che le nuvole nere erano ritornate, che la nebbia era cominciata a calare su loro. E in meno che si dica un temporale inaspettato si abé sulla città, interrompendoli nel momento in cui stavano per incoronare il loro desiderio. Si alzarono dalla panchina e corsero alla fermata della metro che fortunatamente si trovaa pochi metri da loro. Il destino non aveva voluto dargli la possibilità di provare la sensazione di essere, anche per un solo e piccolo istante, una cosa sola. Si piacevano e questo si vedeva a un miglio di distanza. Erano attratti l’un dall’altro con gli occhi pieni di desiderio. Ma il fato, in quel preciso istante, aveva preso la sua decisione e aveva fatto la sua eclatante comparsa bloccando quel momento che non avrebbero mai dimenticato. Era troppo presto? Forse non doveva accadere quello che si stava concretizzando?... Chissà... nessuno lo poteva sapere e nessuno lo saprà mai... Si era fatto mezzogiorno. Dovevano ritornare a casa facendo finta che non fosse successo niente di particolare. Ma, in effetti, era stato proprio così. Arrivati a casa, si sarebbero trovati a rispondere alle frequenti domande giornaliere dei loro genitori. Le solite cose di tutti i giorni. Prima di salire in metro, si scambiarono i numeri di telefono, promettendosi che si sarebbero incontrati. Per prima se ne andò Emma, salutandolo con un bacio innocente sulla guancia.

«Ci vediamo domani pomeriggio?» urlò Marco mentre Emma era sul treno.

«Sì. Fatti sentire e ci mettiamo d’accordo» rispose Emma con una carica eccessiva di contentezza. Inconsciamente questa domanda se la aspettava. Dalla stazione alla fermata di casa, la mente di Marco non cessò di rivedere continuamente la scena di quel momento di forte intimità. La sua mente era come un registratore che in automatico riavvolgeva la scena desiderata per rivederla nuovamente. Era molto contento di aver conosciuto una ragazza carina, intelligente e anche di buona famiglia, proprio come avrebbero voluto i suoi genitori. Il padre di Emma, Walter, era uno degli avvocati più in vista di Roma. La madre, Paola, era un’insegnate di latino e greco. Non poteva essere nessuno contrario a loro. Anche la sua era, una famiglia perbene. La madre, Alice, era una professoressa d’inglese. Il padre, Alfredo, era un ingegnere e proprio per questo lui voleva seguire le sue orme.era arrivato a casa. Dall’altra parte della città Emma stava per salire sull’autobus numero centocinque e in pochi minuti sarebbe anche lei arrivata a casa. Finalmente i due ragazzi erano entrati nuovamente nella quotidianità di tutti i giorni, immersi nella vita della famiglia. Un solo e unico pensiero li accomunava in quella giornata... quel momento interrotto bruscamente che li accompagnò per tutte le ore finché non si coricarono. Lentamente la sera calò, ma prima che Marco andasse a dormire, prese il pezzo di carta sul quale c’era scritto il numero di cellulare di lei. Era combattuto tra la voglia di chiamare o mandare un sms, oppure, quella di lasciare stare tutto. Era un ragazzo dall’apparenza spavalda, sicuro di sé, pieno d’iniziativa, ma in questa situazione era come un bambino al suo primo passo. Traballante e pauroso di sbagliare e cadere. Alla fine anche se non del tutto convinto si decise a inviare un messaggio.

Sono Marco... il ragazzo di stamattina... ti ricordi di me?

Premette il tasto invio e attese la risposta di Emma. Era ansioso della risposta e più voleva che arrivasse l’sms di risposta e più non arrivava.

Certo. C’è n’hai messo di tempo per farti vivo!

Commentò con un breve messaggio e con aria da super donna. Anche se con quel messaggio dava la sensazione di essere con la puzza sotto il naso, Marco era contento anche solo del fatto che aveva risposto. Voleva significare che le piaceva.

Continuarono a messaggiare per un po’ e a poco a poco lui le spiegò che non aveva avuto il coraggio di chiamarla, ma dopo tanti ripensamenti “lo faccio” o “non lo faccio”, aveva calpestato la vergogna che provava e la paura di toppare e farsi vivo.

Ci vediamo alle cinque in punto in Piazza di Spagna. Dove c’è la fontana.

Scrisse Marco.

Ok!

Emma telegraficamente.

Sempre per la serie ti sei fatto vivo, quindi ho centrato...

È stato un via vai di messaggini prima di arrivare alla conclusione ma alla fine il fatidico e desiderato appuntamento fu chiesto e fu accettato. Il giorno dopo si sarebbero rivisti e magari sarebbe stata la volta buona che si sarebbero baciati.

Dopo una serie di complimenti, qualche carezza virtuale, si sono salutati.

Ormai era tardi e Marco si nascose sotto le coperte e pronto per dormire. Lo stesso fece Emma dall’altra parte della città. Non potevano fare altro che aspettare il giorno seguente che li avrebbe riuniti per la seconda volta e forse non li avrebbe mai più divisi.
 
Tratto da "La pagina n.84" di Enrico Caruso, edito dal Gruppo Albatros
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