Il viaggio era stato lungo, il traghetto non si decideva a lasciare il porto, il permesso non arrivava dalla guardia costiera, il mare era troppo mosso. Mio marito, camminava avanti e indietro, lungo il corridoio centrale, era nervoso, aveva fretta di arrivare, e ormai erano passate ore, era già notte.
Siediti, stai innervosendo anche me
Si sedette. Guardava dal finestrino, rimase alcuni minuti così, poi finalmente la nave partì e i muscoli del suo corpo si rilassarono appoggiandosi alla poltroncina, io finalmente cominciai a concentrarmi sulle parole del libro che stavo leggendo.
Mi addormentai, le mani di mio marito mi svegliarono, eravamo arrivati. Scendemmo all’ultimo piano del traghetto, salimmo sulla macchina e finalmente arrivammo a casa, la nostra casa di Tangeri.
Mentre stavamo caricando sull’ascensore vari borsoni di vestiti da distribuire ai poveri, mi sentivo stranamente agitata. Non aveva senso, ormai eravamo arrivati, ma quando l’ascensore si chiuse, salendo rapidamente al sesto piano, mi sembrò di sentire qualcosa…la voglia di non arrivare.
Poi l’ascensore si aprì e io rimasi lì, ferma, persa tra pensieri che sembravano non essere miei, mio marito mi spinse.
- Ti muovi?
- Amín, per favore non mi sento molto bene
- Cos’hai?
- Non so
- Sei solo stanca, dai apri la porta
Non trovavo le chiavi. Mio marito respirava vicino al mio collo, il suo sguardo dentro la mia borsa, questo non aiutava il mio nervosismo, solo afferravo oggetti che non erano una chiave.
- Dammi
Amín afferrò la borsa e con un movimento quasi impercettibile della mano estrasse la chiave e aprì la porta.
Entrai.
In casa c’era qualcuno, ne ero sicura, nel momento in cui attraversai la soglia lo sentii, non eravamo soli.
- C’è qualcuno
- Sofia, per favore, chi vuoi che ci sia, aiutami con le borse
- Ti dico che c’è qualcuno
Cominciai a comportarmi in modo illogico, aprii tutte le stanze accesi tutte le luci, non c’era nessuno, eppure quella notte nel mio letto non riuscii a dormire.
Mi svegliai prima di mia marito e rimasi con alcune amiche tutto il giorno, quando rientrai a casa per preparare la cena, Amín mi stava aspettando.
Mangiammo. Il telefono suonò.
- Sì?... – Ho capito, va bene, 10 minuti e sono lì
- Chi era?
- Mio fratello, mi deve parlare di alcuni affari di cui si sta occupando
- Te ne vai?
- Si, non dovrei fare tardi
- Non andare
- Come non andare? Hai bisogno di qualcosa?
- Ti chiedo solo di non andare
- Ti ho detto che non farò tardi, perché non vai a trovare Shafica? Vedrai che quando torni io sarò già in casa
Uscì dalla cucina e se ne andò lasciandomi sola.
Cominciai a lavare i piatti, cercando di non pensare a quella sensazione, avrei voluto sentirmi sola, però non era così.
Avevo finito, sarei davvero andata a trovare la mia amica, spensi la luce della cucina e mi ritrovai al buio, la luce del corridoio era spenta, un brivido mi attraversò la schiena, qualcuno mi sfiorò il braccio, la porta era vicina, corsi verso la fine del corridoio terrorizzata, in quel momento mi accorsi che l’ingresso era aperto.
Mi paralizzai.
- Amín? Ci sei?
Non riuscivo a muovermi, a respirare, rimasi in silenzio fissando il vuoto dell’entrata per alcuni minuti. Finalmente trovai la forza di tornare sui miei passi per accendere la luce, quando mi voltai nuovamente verso la porta, le mie gambe non ce la fecero, cedettero. Mi ritrovai in ginocchio.
La porta era chiusa.
Mio marito mi trovò lì, sul suolo, fissando il vuoto.
Chiamò Shafica, che rimase vicino a me tutta la notte, io non smettevo di piangere in silenzio, Shafica mi abbracciò.
- Devi andartene da qui…
Smisi di piangere e la guardai.
- Dar majduda dar mascuna
Quelle parole mi rimasero dentro.
Casa serrata…
Casa abitata.
DAR MAJDUDA DAR MASCUNA racconto di MIT (tratto da una storia vera)
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