Nelle mie vene un falò di Rita Pacilio



I Parte

Sugli occhi un brivido è sceso

come l’acqua si increspa al vento

e dalla bocca miele.


Mi hai ripetuto

‘Perché piangi bambina adorata?’

Stavolta sorridendo me l’hai detto.


Ritrovo il respiro dell’anima

nei baci assetati

e maledico nettare e pene.


Ogni sera arriva sul mio letto

l’angelo malefico

spietato versa fuoco sul mio seno.


Con le ali asciuga le lacrime

divora pezzi di me

si quieta se tendo arco e frecce.


Intona canti stonati nel petto

intreccia i capelli alle spine

e mi benda gli occhi.


Mi trascina lontano

in un bosco profumato di menta

questa è l’ora se vedo la morte.


‘Fammi la grazia’ prego

ma nelle sue mani resto curva:

sono destinata alla vecchiaia.


Tu vuoi le ghirlande del piacere

sbocciate nei giardini

rose fiorite di sangue vergine.


‘Crudeltà sei porpora!’

come la matrigna della Natura

mi spandi sulle foglie della rosa.

II Parte


Mi giunge nella sera tarda

ricompare profeta

intende essere compagna musa.


Riconosco l’odore

e dò un nome al suo volto chiaro

mentre mi tengo in petto il cuore.


Tutte le offese che fanno male

restano sui tigli addormentati

era marzo o aprile.


Era sapore di bucato fresco

stanca e stancata

donavo notti arrossite di me.


Non muore il tempo quando mi prendi

se disperdo inchiostri

se dolci pene trasformo in canti.


Sono cicala dalle ali grandi

con stelle agli occhi

e ai piedi canneti senza fine.


Salgono le speranze

se riesco a scacciare i diavoli

così mi scucio la camicia bianca.


Come finestra sulle erbe pane

apro il mio sangue

mi somiglia la luna rovesciata.


Ripetimi i colpi del bastone

avanti e indietro

io sono tamburo di percosse.


Quando ero cavalla

conoscevo lo sperone pungente

così alzavo il collo ai morsi.


III Parte


Come cigno dipinto sul lago

spingi fino all’indaco la sera

e ti faccio entrare.


Ascolta il trotto dei miei piedi

sui fili di acqua

tutti mi credono bocca di mare.


Nessuno sa questo tarlo al polso

nessuno vede fino al mattino

cosa dice il fuoco.


Somigli all’angelo

che controvento piange sulle piume

con te è facile tessere sponde.


Con te diventa facile sparire

nella stella che cade

e uno sente dolore altrove.


La notte non è una sola volta

torna domani viva

perché non si distrae.


La Madonna si riveste farfalla

nell’aria muove piano

i cancelli che stanno in me e in te.


Da te ricomincia la sua regola

l’ultima simmetria

l’unica donazione trasparente.


Se mi vesto vedova

sotto le palafitte dell’anima

non ti voltare a piangere i lutti.


Non mi obbligare la direzione

e quando si annoda la tempesta

tu chiedimi perdono.


Così rievocavo le identità e gli irresistibili impeti sforzandomi di consolare il disincanto dell’apparenza della mia identità e dei ruoli degli altri.

Avevo sei anni, forse meno. Cominciai senza la penna in mano. Senza fogli.

Mi apparivano i doppi fondi delle cose e ne ero in balìa: non conoscevo ancora il modo per diventarne padrona.

Ancora adesso non lo conosco.

Sapevo di essere una dissonante intuizione ma quel ‘pensiero’ nascosto mi esplorava dall’alba di ogni giorno.

Mi confortava spiazzandomi tra paradossi e aforismi.

Mi faceva male a volte, mi possedeva da uomo.

Sentivo l’ingenua e pessima traduzione dell’oltre e cresceva.

Si dilatava.

Si moltiplicava.

Gli occhi spalancati hanno guardato gli eccessi dell’interiorità e sentivo che niente mi capitava invano. La responsabilità del controllo e del crollo del mio essere ha elevato i sensi.

Ogni cosa di me era in movimento.

Mi riparavo nelle rientranze della mano ma la sporgenza delle dita mi proiettava nell’aria in modo deciso e austero.

La trasgressione è diventata portatrice dell’ansia della banalità dei luoghi comuni. Così si è tracciata una strada che percorrevo da sola e pur sapendo di cancellare ogni passo, non tornavo mai indietro.

Sfumata, fluida, flessibile, spesso irresistibile, ambigua, appariscente.

Perversa e arresa.

Umile.

Persa.

Senza scampo.

Guardare nel buco dal buco qualcosa che non sapevo di avere.

Mi intrigava il fastidio, l’imbarazzo dell’etichettamento. Mi spiazzava l’indifferenza e rimuovevo il ‘tutto è possibile’. Sapeva che ero sua schiava: mi faceva indossare il velo e poi mi spogliava di fronte allo specchio.

Abitava negli aspetti essenziali della mia identità.

Dava vita a forme autentiche di reciprocità. Sapeva che non volevo la tolleranza, ma avevo bisogno di essere rispettata e compresa.

Accolta: una virtù come una forma di passaggio simmetrica scandalosa e pudica. L’immaginario fiabesco rappresentava la mia infanzia adattata al mutamento del personaggio che ero diventata.

Lei mi modellava.

Era quasi un incesto.

E non mi sentivo colpevole se mi stavo innamorando di lei e lei di me.

Un amore sparso nelle vene del polso destro, dove solo i segreti degli amanti possono mettere in scena l’affermazione del simbolismo del piacere.

Ho soddisfatto i bisogni della dipendenza per avere in cambio le poche cose che fanno stare bene.

Ho goduto il dolore presente nel ricordare la passione passata.

Ho lasciato mi violentasse il tormento irragionevole per assaporarne la saggezza solitaria. L’ho idealizzata.

L’ho battezzata dea.

Le ho lasciato il gusto di adottarmi come figlia.

Nessuno mi ha fatto domande diverse e non ero pronta al rifiuto: così la reazione di carne ha evitato i misteri ed ha accumulato giorno dopo giorno la testimonianza delle radici future.

Qualcuno mi ha chiamata ‘piantina di vetro’. Una luce di fuoco traspare. Lei lo sa.

Ha avuto il coraggio di promettermi che mi aspetta.



Dai fianchi fino alle colline

dove tu leggi questa pena mia


scrivo di me per uscire dal niente


Con labbra rosa sotto casa tua

ti respiro i miei passi in corsa.

Rita Pacilio
 
Nelle mie vene un falò di Rita Pacilio tratto dal volume poetico edito da LietoColle 'Alle lumache di aprile'
"Alle lumache di aprile" edito da Lieto Colle

1 commento:

  1. Sono onorata di essere qui! Grazie Eva! Un abbraccio a tutti coloro che passeranno a leggere il mio poemetto che chiude la raccolta poetica 'Alle lumache di aprile' (LietoColle 2010) che è anche nel mio Album 'INFEDELE' edito dalla 'Splasc(h) Records. I miei testi, tratti dallo stesso volume, infatti, li ho cantati e sono stati musicati da Claudio Fasoli, Antonello Rapuano, Giovanni Francesca, Carlo Lomanto e Luca Aquino. Molti video sono su you tube. (www.ritapacilio.com) Baci tanti.....Ri

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